No all’alcol in gravidanza
A cura della Dott.ssa Sarah Charlotte Simonetti, ginecologa.
La capacità dell’alcol di provocare anomalie nello sviluppo del feto è conosciuta fin dall’antichità.
Le ricadute negative che un eccessivo consumo di alcolici provoca nel nascituro sono molteplici e gravi, dalle malformazioni di vario genere alle difficoltà nell’apprendimento, dai problemi comportamentali al ritardo nella crescita. Considerata l’elevata diffusione di queste indesiderate conseguenze fra la nostra popolazione infantile, si pone il problema di stabilire se esista una dose di alcol che la gestante possa consumare in sicurezza, senza causare danni al suo bambino.
Ma l’unica risposta certa è che occorre evitare del tutto gli alcolici durante la gestazione, in quanto gli effetti di un loro consumo sporadico o moderato possono essere diversi per ciascuna donna, essendo influenzati da alcune variabili individuali, come il profilo genetico materno e quello del nascituro, oppure gli stili di vita alimentari seguiti dalla futura mamma.
Alcol e gravidanza: sul loro legame, quando si aspetta un bambino, capita di sentire le opinioni più diverse ed i consigli più vari, da “Un bicchiere di vino ogni tanto fa bene” al tassativo “Assolutamente niente alcol in gravidanza”.
I dubbi su questo argomento sono sicuramente molti: ma di che cosa si tratta veramente? A chi bisogna dare ascolto, e a chi no?
Molteplici effetti negativi
Per cercare di fare un po’ di chiarezza, partiamo da lontano: è noto da molto tempo che l’alcol etilico, componente delle bevande alcoliche, è un potente agente teratogeno, capace cioè di causare anomalie e malformazioni durante lo sviluppo del feto.
I meccanismi attraverso i quali l’alcol esercita i suoi effetti sul feto sono molteplici: innanzitutto può determinare un danno diretto sulle cellule del sistema nervoso, che non si sviluppano, non migrano e non interagiscono fra loro come dovrebbero fare per consentire una corretta formazione delle strutture cerebrali. L’alcol può inoltre provocare ipossia (vale a dire ridotto apporto di ossigeno al feto), che può essere causa sia di danno cellulare sia di ritardo di crescita intrauterino. Infine, l’alcol può alterare il modo in cui si esprimono alcuni geni coinvolti nello sviluppo di organi ed apparati: alcuni studi hanno ipotizzato che, tramite questo meccanismo di alterata espressione genetica, anche il consumo eccessivo di alcol da parte del padre prima del concepimento potrebbe influire sullo sviluppo del feto.
Le conseguenze negative dell’assunzione di alcolici da parte delle gestanti erano note già dall’antichità. Nella Bibbia, ad esempio, possiamo leggere: “Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio; ora non bere né vino né bevanda alcolica” (Giudici, 13:7). Oppure in un testo greco, attribuito al filosofo Aristotele, si osserva che “…le donne sciocche, ubriache e sventate molto spesso concepiscono bambini simili a loro, cupi e lamentevoli…”.
Bambini con tanti deficit
Venendo ad anni più recenti, nel 1968 il pediatra francese Paul Lemoine fu il primo a descrivere la cosiddetta “sindrome alcolica fetale”, seguito, nel 1973, dagli statunitensi D.W. Smith e K.L. Jones. Di questa sindrome fanno parte una serie di difetti congeniti osservati nei figli di donne che hanno abusato nel consumo di alcol durante la gravidanza: dimorfismi facciali (ossia un aspetto anomalo, caratteristico, di volto, labbra ed occhi), ritardo di crescita (sia prima che dopo la nascita), ed anomalie nella struttura o nella funzionalità del sistema nervoso centrale, che si manifestano soprattutto con disturbi cognitivi e comportamentali.
Queste sono quindi le tre componenti caratteristiche di quella che è la manifestazione principale dell’abuso di alcol durante l’attesa di un bambino. Esistono poi una serie di condizioni, delle quali la sindrome alcolica fetale non è che la manifestazione più grave, che sono state classificate all’interno dei “disturbi dello spettro alcolico-fetale”, in cui i tre aspetti prima descritti possono essere presenti in grado diverso, da soli oppure in associazione.
Sono frequenti, in individui affetti da questi disturbi, deficit dello sviluppo e dell’apprendimento nell’infanzia e difficoltà di vario grado una volta raggiunta l’età adulta: problemi di salute mentale, incapacità di condurre una vita autonoma, fallimento scolastico e lavorativo, isolamento sociale, problemi con la Legge, comportamenti a rischio. In aggiunta a questi disturbi, in letteratura sono state descritte numerose condizioni patologiche che potrebbero avere un legame con l’esposizione all’alcol durante la vita in utero: disturbi del sistema immunitario, malformazioni (cardiache, scheletriche, renali), disturbi nervosi, problemi visivi o dell’udito. L’alcol sembrerebbe associato anche ad un aumentato rischio di alcune complicanze della gestazione: parto prematuro, corionamniosite, distacco di placenta.
I disturbi dello spettro alcolico-fetale sembrano essere più diffusi di quanto ci si aspetterebbe: potrebbero interessare infatti, secondo studi recenti, circa il 2% della popolazione. Una ricerca condotta su un campione di bambini italiani in età scolare suggerisce che la prevalenza di queste condizioni patologiche potrebbe essere ancora più alta, fra il 4 ed il 6 per cento.
Il rebus della quantità
Veniamo dunque alla domanda che più interessa le future mamme: c’è una quantità di alcol sicura in gravidanza? E se esiste, qual è? La risposta non è affatto semplice. Mentre infatti sembra che un consumo eccessivo di bevande alcoliche sia direttamente collegato ad effetti avversi per il bambino, ad oggi non esistono, in letteratura, dati chiari e conclusivi su un loro consumo scarso o moderato. A ciò bisogna aggiungere che gli effetti dell’alcol possono variare da una persona all’altra, in dipendenza di vari fattori. Innanzitutto bisogna parlare dei fattori genetici: i geni coinvolti nel metabolismo dell’alcol hanno molte varianti, e questo fa sì che l’assorbimento e la risposta all’assunzione di bevande alcoliche evidenzino differenze anche significative tra una persona e l’altra. E noi qui stiamo parlando di due persone, la madre ed il feto, per cui è evidente che ad influire sugli effetti dell’alcol nel corso della gestazione sono le varianti genetiche di entrambi. Altri fattori da menzionare sono i cosiddetti ‘fattori ambientali’, ossia quelli legati al contesto in cui vivono mamma e bambino. In letteratura spesso viene riconosciuta un’associazione tra il consumo di alcolici nei nove mesi ed altri comportamenti a rischio (fumo, alimentazione e stili di vita scorretti), i cui effetti negativi possono sommarsi a quelli dell’alcol. Per esempio, nella risposta all’alcol entrano in gioco i fattori nutrizionali. Un ridotto apporto di sostanze molto importanti per lo sviluppo del sistema nervoso, quali vitamina E, zinco, selenio, acido folico o DHA (un acido grasso benefico della serie Omega 3), potrebbe aggravare gli effetti negativi dell’alcol. Al contrario, i primi risultati di alcuni studi sembrerebbero suggerire che una corretta assunzione di queste sostanze attraverso la dieta o, in alcuni casi, una loro supplementazione, potrebbero contribuire a ridurre le ricadute negative dell’alcol sullo sviluppo degli organi.
Per tutti questi motivi non è possibile riconoscere se esista, e quale sia, la dose di alcol priva di rischi per madre e figlio, e possiamo soltanto dire che l’unica maniera sicura di evitare danni al feto è quella di eliminare completamente le bevande alcoliche durante tutta la gravidanza.